Verso l’iniziativa di presentazione della XII edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti riportiamo in questo articolo il suo editoriale di apertura, scritto dal direttore Raffaele Crocco (presente all’evento del 10 marzo), che restituisce una panoramica complessiva di ciò che è possibile trovare nell’Atlante aggiornato al 2024 e apre all’iniziativa con spunti per dibattito e riflessioni.
Sono 31 guerre. Sono un numero senza fine di crisi politiche, umanitarie, ambientali. Le persone in fuga dalla guerra sono 108milioni: erano appena 20milioni nel 2000. Sono più di 300milioni gli emigranti in cerca di futuro in ogni Continente. Sono queste le immagini che avremmo del Pianeta, se lo guardassimo tutto assieme, dall’alto, in questi anni. Non è un Mondo in salute quello che raccontiamo in questa dodicesima edizione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo. Le grida di chi viene schiacciato dall’ingiustizia, dalla morte, dalla violenza sono sempre più alte. Noi, in Europa, ascoltiamo con apprensione le voci che si levano da Gaza, sbrigativamente ripulita dagli occupanti israeliani. Sentiamo quelle che ancora vengono dall’Ucraina, che resiste all’invasione russa.
Ma si muore anche altrove, inascoltati: muoiono i curdi (e non solo) nella Siria ancora in guerra, uccisi dai nostri alleati turchi. Vengono stuprate e uccise le donne della Repubblica Democratica del Congo, dalle milizie pagate da chi vuole controllare il traffico di coltan. Si viene uccisi nei troppi golpe del neo- nazionalismo africano, sulle rotte della speranza in America del Sud e nel Mediterraneo, nelle piazze iraniane o tunisine. Mano a mano che il tono della violenza si alza, diminuisce quello della democrazia. Il fenomeno è inevitabile. Lo denuncia con chiarezza Amnesty International, raccontando come a livello globale l’attacco a chi protesta pacificamente sia diventato feroce e ricordando come quello di protesta pacifica non sia un privilegio ma un diritto che gli Stati hanno il dovere di rispettare, proteggere e faci- litare. In nome della guerra i diritti umani vengono accantonati, le democrazie sospese o limitate. Sta accadendo ovunque, anche a casa nostra.
La corsa al riarmo sta drenando finanze destinate allo Stato sociale (là dove c’era ovviamente), alla cooperazione internazionale, alle politiche di conversione eco- logica. I dati raccontano con chiarezza che nel 2022, a fronte di 2.200miliardi di dollari investiti in armi, la comunità mondiale ha messo in campo solo 180miliardi di dollari per la cooperazione fra i popoli. È meno del 10%. Il significato di tutto questo è semplice: le relazioni fra Paesi e potenze sono tornate a basarsi sulla forza, sul confronto militare. Gli eserciti sono nuovamente lo strumento principe della politica estera, utilizzati per difendere “gli interessi nazionali, là dove si trovano”.
In questo correre a riempire gli arsenali e a potenziare armate, abbiamo lasciato per strada anche gli impegni presi per limitare o fermare il cambiamento climatico. Le politiche decise a Glasgow con la COP26 sono rimaste sogni nel cassetto. I finanziamenti previsti per sostenere la transizione ecologica dei Paesi più fragili non si sono visti e i grandi Paesi industriali, spaventati dalla guerra, hanno pensato bene di continuare a puntare sull’energia prodotta da risorse fossili, piuttosto che puntare sulle rinnovabili. È stato un disastro, che viene come sempre pagato, sotto forma di alluvioni, smottamenti, siccità, da chi ha meno strumenti e minori possibilità di sopravvivenza. L’elenco prodotto dalle agenzie Onu sui Paesi più a rischio è emblematico. Sono la Siria, l’Afghanistan, l’Etiopia, la Somalia, il Ciad, la Repubblica Demo- cratica del Congo, la Repubblica Centrafricana, la Nigeria, lo Yemen e il Sud Sudan. Sono tutti Paesi in guerra. C’è un rapporto stretto, questo lo sappiamo da tempo, fra assenza di diritti, cattiva distribuzione della ricchezza, mancanza di democrazia e guerra.
Viviamo tempi in cui la guerra è tornata a essere “strumento tollerato e praticabile”. Viene raccontata come inevitabile o come giusta. Veniamo educati, attraverso i media o nelle scuole, all’idea della guerra come “naturale linea di sviluppo” dell’umanità. L’impressione è che sia la guerra a formare i cittadini e le cittadine e che sia sempre la guerra a segnare le tappe del nostro tempo come umanità. Così, con la guerra sono gli eroi, mitici o reali, a diventare l’esempio da imitare, da seguire. Anche se a volte questi eroi (prendete quelli del mondo greco, tanto per dire) sono psicopatici al limite della camicia di forza. Tant’è, la Pace non si racconta. La mancanza di guerra è ai margini del nostro orizzonte, quasi fosse cosa poco interessante e scarsamente educati- va.
Le grandi idee e le grandi azioni sul campo del pacifismo internazionale, le ignoriamo. Il pacifismo continua a essere considerato “naif”, poco coerente con la storia e con l’attualità, che invece chiedono virilmente sangue e sacrifici. E così vince la grande menzogna della guerra, che continua a presentarsi come la unica, vera e intelligente “macchina evolutiva” dell’umanità.
Per saperne di più sfoglia qui le pagine di anteprima dell’Atlante XII edizione