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La libertà è una lotta costante – letture collettive

Di seguito alcuni brevi passi di due dei testi che saranno tra le letture collettive della giornata di venerdì 6 dicembre alla libreria popolare Paulo Freire.
Nella cornice intitolata La libertà è una lotta costante in occasione dell’apertura della libreria, saranno proposti una selezione di testi che, insieme a quello di Victor Serge e quello di Angela Davis da cui sono tratti i brani che seguono, offriranno possibilità di riflessione, suggestioni e confronto sul tema del carcere, delle invarianze dei tentativi di soffocamento della libertà delle lotte e sulle possibilità di vanificarli. I testi in questione saranno:
Quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione – Victor Serge 1926
50 anni di lotte – Angela Davis 2024
Still not loving police – Autonomia Contropotere 2009
Lettere di Luigi dal carcere – 2024

Su Quello che ogni rivoluzionario deve sapere sulla repressione di Victor Serge: All’indomani della rivoluzione russa gli archivi segreti della polizia politica zarista -“Okhrana” – cadono nelle mani dei rivoluzionari. Victor Serge è tra loro e ha la possibilità di accedere a centinaia di documenti e rapporti di polizia. Dalla lettura di questa documentazione Serge trae una sorta di guida pratica sulle tecniche di repressione poliziesca, pubblicata integralmente per la prima volta in Francia nel 1925.

La repressione, in definitiva, specula solo sulla paura.
Ma la paura può bastare a combattere il bisogno, lo spirito di giustizia, l’intelligenza, la ragione, l’idealismo, tutte le forze rivoluzionarie che manifestano la potenza formidabile e profonda dei fattori economici di una rivoluzione? […] Intimidiscono solo i deboli: esasperano i migliori e temprano la risolutezza dei più forti.

La polizia doveva vedere tutto, sentire tutto, sapere tutto, potere tutto… La potenza e la perfezione del suo meccanismo apparivano tanto più notevoli poiché trovava nei bassifondi dell’anima umana delle risorse inattese.
Ciò nonostante non ha saputo impedire niente, Per mezzo secolo, ha vanamente difeso l’autocrazia contro la rivoluzione più forte di anno in anno

L’azione illegale crea alla lunga delle abitudini e una mentalità che è la migliore garanzia contro i metodi della polizia. Quale poliziotto di genio, quale furfante abile può misurarsi con rivoluzionari sicuri di se stessi, circospetti, riflessivi e abili, obbedienti ad una parola d’ordine.
Qualunque sia la perfezione dei metodi messi in opera per sorvegliarli, non ci sarà forse sempre, nelle, loro azioni e nei loro gesti, una insondabile incognita? Non ci sarà forse sempre, nelle equazioni più laboriosamente elaborate dai loro nemici una enorme X? Traditore, spia, abile segugio, chi penetrerà l’intelligenza rivoluzionaria? Chi misurerà la potenza della volontà rivoluzionaria?

Quando si hanno dalla propria parte le leggi della storia, gli interessi dell’avvenire, le necessità economiche e morali che conducono alla rivoluzione, quando si sa chiaramente ciò che si vuole, di quali armi si dispone e quali sono quelle dell’avversario, quando si è scelta l’azione illegale, quando si ha fiducia in se stessi e quando si lavora solo con coloro in cui si ha fiducia, quando si sa che l’opera rivoluzionaria esige del sacrifici e che ogni seme di sacrificio frutta cento volte tanto, si è invincibili.
P. 88


Su 50 anni di lotte – Angela Davis 2024 
Da quando, nel 1970, fu inserita dall’FBI nella lista delle dieci persone più ricercate dagli Stati Uniti, per poi finire assolta da tutte le accuse che le venivano rivolte nel corso di uno storico processo, Angela Davis è diventata una delle figure più iconiche del ventesimo secolo. Sempre pronta a schierarsi pubblicamente dalla parte degli sfruttati e degli oppressi, ha scritto nel corso degli anni decine di saggi dedicati all’intersezione tra razza, classe sociale e genere, alla liberazione dei Neri, in America e non solo, e al sistema carcerario degli Stati Uniti. In questo libro sono raccolte le interviste più significative rilasciate da Angela Davis nel corso della sua vita, dando conto della sua intensa e incessante attività di docente, studiosa e attivista, contrassegnata da un impegno inflessibile e da un’incrollabile lucidità.

Se dovessi provare a riepilogare le sensazioni che ho provato visitando le carceri di tutto il mondo, e la maggior parte erano carceri femminili, incluse le tre prigioni in cui mi sono ritrovata involontariamente, direi che hanno un inquietante somiglianza.
Mi sono sempre sentita come se mi trovassi nello stesso posto.
A prescindere da quanto le mie mete fossero distanti nel tempo e nello spazio – dal 1970 al 2000, dalla Casa di detenzione femminile di New York dove io stessa sono stata detenuta fino alla prigione femminile di Brasilia – a prescindere dalla distanza, tra le carceri c’è una strana uniformità, specialmente tra quelle femminili. È un’ uniformità con. cui deve fare i conti il femmi-nismo, per il quale è stato molto importante spogliarsi dell’idea che esista una qualche specificità universale che chiamiamo don-na. Questo mi fa pensare al tuo lavoro sulla necessità di ripensare i confini tra le scienze sociali e gli studi umanistici. Come A strumento per riflettere specificamente sulle donne in carcere.

La detenzione è diventata la prima risorsa a cui attingere per falvere fin troppi dei problemi sociali che gravano sul spalle der poveri. Problemi che vengono spesso nascosti raggruppandoli sotto l’etichetta di «reato» e attribuendo automaticamente alle persone di colore, specialmente al Nei e agli ispanici, uomini e donne, i comportamenti considerati criminal La mancanza di un tetto sopra la testa, la disoccupazione, la dipendenza dalla droga e ‘analfabetismo sond solo alcuni dei problemi che spariscono dallo sguardo pubblico quando gli esseri umani

A che ne soffrono vengono confinati in gabbia. Le prigioni, quin-di, eseguono un numero di magia. O meglio, la gente che vota in continuazione a favore di nuovi finanziamenti destinati alle carceri o che da un tacito assenso alla proliferazione della rete penitenziaria è stata portata a credere nel potere magico dell’in-carcerazione. Ma, come tu stessa hai affermato altrove, la prigione non cancella i problemi, piuttosto cancella gli esseri umani, e la prassi di far scomparire un’enorme quantità di persone dalle comunità povere, composte da immigrati e lasciate ai margini per questioni razziali, è diventata letteralmente un affare d’oro.
Più cresce lo spazio occupato dalle prigioni nel panorama sociale e più si riduce, fino quasi a estinguersi, il margine d’azione degli altri programmi di governo, quelli che in precedenza hanno provato a dare risposte ai bisogni sociali. 

Quanti di noi si sono trovati davanti alle porte di un carcere, per non dire dentro? Questa domanda crea una netta distinzione tra le persone di colore – in particolare i Neri – e i bianchi, tra i poveri e i benestanti. La maggior parte dei cittadini statunitensi non ha alcuna esperienza diretta del sistema penale, eppure il carcere è una costante nella storia tanto politica quanto personale dei Neri e dei poveri. I più non pensano mai al filo spinato, né provano a immaginare concretamente chi o che cosa ci ca di da a oral conrano la perezione publica dale prigioni e dei carcerati è modella all rappresentazioni tornanti dei media, tra cui i film di Hollywood ambientat in galera, intorno ai quali e un sensazionalismo sguaiato. Duran re un recente viaggio a Cuba ho intervistato decine e decine di detenute e mi sono stupita solo in parte scoprendo che, prima della condanna, le loro aspettative su come sarebbe stato il car. cere si basavano su ciò che avevano visto nei fim di Hollywood.

Lo sviluppo dell’industria carceraria negli Stati Uniti avviene sullo sfondo di una diffusa riluttanza da parte della maggioranza delle persone libere a partecipare a un dibattito critico che riesca a lasciarsi alle spalle l’equazione tra l’espansione delle car. ceri e l’eliminazione della criminalità, che e semplicistica e gravemente sbagliata. I media e le forze dell’ordine collaborano per reare un’atmosfera sempre più satura di criminalità nella quale sono proprio coloro che hanno meno probabilità di diventare time di un reato a sostenere con maggior vigore le condanne iù severe e a considprare l’ampliamento delle carceri come un mezzo per ridurre la criminalità. Se nell’immaginario collettivo c’è una narrazione inverosimile del «criminale», che si traduce nella paura dello sconosciuto Nero appostato dietro un angolo buio in attesa di una vittima ignara da aggredire, rapinare, violentare o uccidere, il risultato è una mentalità del tipo «chiu-diamoli dentro e buttiamo via la chiave» (esemplificata a livello legislativo dalla «three-strikes law», che in alcuni stati diventa la «two-strikes law»),’ con il risultato di rendere i detenuti sempre più invisibili. 

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