Venerdì 7 febbraio 2025 alle ore 18.00 la comunità degli abitanti delle case popolari di sant’ermete ospiterà gli amici e le amiche del Quarticciolo.
Questo ennesimo incontro – sodalizio – tra i due comitati è l’occasione per inquadrare la storia delle lotte popolari nei quartieri a fronte di problemi comuni, che nella fase attuale si presentano come emergenza sicurezza, nel duplice significato di “militarizzazione dello spazio pubblico” e “violenza sociale”. Quarticciolo ha promosso per il 1 marzo 2025 un grande corteo popolare per difendere le esperienze di comunità dal basso contro la gestione del potere statuale di repressione e criminalizzazione delle periferie. A Quarticciolo infatti i problemi sociali causati da abbandono e impoverimento sociale, dove le case cadono a pezzi e i servizi pubblici vengono chiusi, sono stati aggravati negli ultimi anni dalla scelta dell’economia criminale di quel quartiere come hub di smercio di droga. Questo fenomeno da una parte causa enormi sofferenze e tensioni nel quartiere, dall’altra è la scusa perfetta per l’intervento della propaganda governativa del “modello Caivano”, cioè di una intensa operazione di finanziamento pubblico verso la militarizzazione: centinaia di milioni di euro per la pulizia sociale – ovvero sgomberi e installazione di attività “militari” e ulteriore marginalizzazione di chi ci vive. Con il Dl emergenze di fine dicembre questo modello vorrà essere trasferito a Quarticciolo e ad altri quartieri in Italia come “sperimentazione”. Perciò siamo convinti che l’incontro tra comitati popolari sia essenziale: all’agenda politica securitaria, utile a manipolare la realtà per imporre economia di guerra e privatizzazioni della cosa pubblica – nel segno suprematista- dobbiamo contrapporre una alfabetizzazione collettiva dei bisogni sociali, radicare nei territori la fiducia in se stessi come motori del cambiamento possibile, contrastare rigenerazioni urbane funzionali ai capitalisti, ed imporre le riqualificazioni dei servizi e delle infrastrutture di base necessarie al miglioramento effettivo dei quartieri. Spingere sul desiderio di vita e non soccombere di fronte alla pressione mediatica e all’abbandono concreto delle “cose che non cambiano mai”. Confrontarsi sulle esperienze di comunità, doposcuola, ambulatorio di base, di autorecupero, e mille altre, significa mettere al centro le relazioni sociali e le infrastrutture comunitarie come spazi di difesa e contrattacco da ogni piano governativo.
Presentiamo qui di seguito, in avvicinamento, alcune pagine tratte da Raul Zibechi e, a breve, un documento del Comitato di Sant’Ermete di resoconto degli ultimi tempi e in collaborazione con la nostra libreria che saranno oggetto di letture collettive domani ore 16 durante l’apertura settimanale della libreria, prima di partecipare insieme all’iniziativa a Sant’Ermete alle 18.
Alba di mondi altri
Cambiare il mondo o creare un mondo nuovo
Le basi di appoggio zapatiste stanno creando un mondo nuovo. Se avessero optato per cambiare questo mondo, sarebbero entrate nella politica statale, anche senza partecipare alle elezioni. Cambiare questo mondo non è possibile: il risultato dei cambiamenti per i quali abbiamo lottato è il mondo in cui stiamo, qui e ora. I popoli vivono (hanno vissuto nel caso degli zapatisti) in spazi che somigliano al campo di concentra-mento, nel senso che gli dà Agamben: spazi dove lo stato di eccezione è la regola, e la vita umana si riduce a pura vita biologica (nuda vita), una situazione in cui chiunque può uccidere (l’indio, il nero, il meticcio) senza commettere omicidio (Agamben, 1995, p. 48).
Gli Stati moderni, in particolare quelli dove i non europei sono una parte importante della popolazione, instaurano attraverso uno stato di eccezione permanente (non dichiarato, eseguito spesso da gruppi para-polizieschi-paramilitari) una guerra civile legale, per eliminare quelli che il sistema considera popolazione in eccedenza o scartabile. Chi considerasse eccessiva questa affermazione, può dare uno sguardo a quel che avviene in Messico da che il presidente Felipe Calderón dichiarò guerra al narcotraffico (2006), nelle favelas brasiliane dalla dittatura militare in a-vanti (1964) e in tutti gli spazi dove, come diceva Benjamin (2010), la tradizione di resistenza e ribellione degli oppressi ci insegna che lo stato di eccezione è la regola.
Il campo di concentramento non è riformabile. Lo si può solo distrug-gere, mandare in pezzi. Per questo, come segnalava Fanon e come hanno fatto gli zapatisti, non c’è altro cammino che la violenza. La violenza di per sé non è una soluzione, ma qualunque soluzione passa attraverso la contrapposizione alla violenza del sistema e il recupero dei mezzi di pro-duzione.Poi, Agamben ci ricorda che «dai campi di concentramento non c’è ritorno possibile alla politica classica» (Agamben, 1995). E ci dice che partecipare alla politica statale, con la sua liturgia di votazioni, comizi e discorsi mediatici, è come sedersi a negoziare con i guardiani del campo di concentramento qualche misura per temperare le condizioni della re-clusione. Nel campo di concentramento, la democrazia elettorale è un’ipocrisia. Oggi la democrazia è la barriera antifiamma per isolare quelli che stanno in basso da altri che stanno in basso. La democrazia elettorale è il muro delle prigioni, il filo spinato dei campi di concentramento, il modo di illudere i confinati che possono trovare alleati nella società ri-spettabile, ‘nobile’ e bianca, quella che può votare le sinistre e sentirsi rappresentata da loro.
Gli zapatisti non si propongono di cambiare il mondo. L’idea di cambiare il mondo come una totalità, capitalista, per dar luogo a un’altra to-talità, socialista, può intendersi solo a partire da una concezione che considera la società attuale come un campo di relazioni e di elementi omogenei e continui.
Il lavoro di Aníbal Quijano è particolarmente illuminante su questo punto. Sottolinea che, nel pensiero eurocentrico, il tutto mantiene un primato assoluto sulle parti, e una sola logica governa entrambi. Però in realtà le totalità storico-sociali sono articolazioni di elementi eterogenei, discontinui e conflittuali, in modo che quella totalità non è un sistema chiuso, una macchina e, pertanto, i suoi movimenti non possono essere unidirezionale; non si può muovere un tuttoperchè coesistono logiche di movimento molteplici ed eterogenee (Quijano2000a).
L’analisi di Quijano ci permette di comprendere i tempi propri di Indios, neri, donne e di tutte le persone oppresse
[…]
Non si può cambiare il mondo s quali e quelle co altarimo a cesaio sostruire uno nuovo, con quelli capatismo siano dispos fas. Questo è il messaggio profondo dello zapatisa, il motivo del perché rifiuta l’unità e l’omogeneità e propone di creare spazi di incono) per lavorare insieme rispettando le differenze. È un modo ben distino da quello eurocentrico, non pretende che tutti siamo zapatisti, non pre tende di portarci tutti verso un qualche luogo, è un’aitra cosa. Possiamo cambiare il mondo solo creando qualcosa di differente.L’unica via d’uscita perché i colonizzati non ripetano, ancora e anco-ra, la terribile storia che li colloca al posto del colono, è la creazione di qualcosa di nuovo, di un mondo nuovo. È il cammino nel quale i dominati possono smettere di far riferimento al dominante, di desiderare la sua ricchezza e il suo potere, di perseguire il suo posto nel mondo. In quel cammino possono superare la condizione di inferiorità nella quale li ha posti il colonialismo. Non potranno superare quel ruolo legando per spartirsi quello che esiste, che è il ruolo del dominatore, bensì creando qualcosa di nuovo: cliniche, scuole, caracoles, musiche, danze. Dovranno fare quel mondo altro con le loro mani, mettendo in gioco la loro immaginazione e i loro sogni; con modi differenti di fare, che non sono calco e copia della società dominante ma creazioni autentiche, adeguate al ‘noi” in movimento. Creazioni che non hanno nulla da invidiare al mondo del che le condizioni per decolonizzare il pensiero critico.
Raul Zibechi, pp 36-38