Venerdì 21 febbraio al Newroz si terrà un’iniziativa in collaborazione col progetto Meti di Napoli sul libro ”Ne*ri con le pistole” . Tra i testi fondanti del movimento blackpower, il libro racconta le lotte di una parte della comunità afroamericana durante il passaggio dall’abolizione della ”schiavitù di proprietà” all’istituzione della ”schiavitù salariata” e di come l’autodifesa, sia stata il principio necessario di un movimento che ha poi raggiunto dimensioni internazionali. Di seguito alcuni dei brani selezionati per le letture collettive preparatorie all’iniziativa.
Uscire dalla colonia interna, anzi, smantellarla
Robert F. Williams nasce il 26 febbraio del 1925 a Monroe, in North Carolina. La schiavitù era stata abolita solo sessant’anni prima, nel 1865 e, con la ratifica del tredicesimo emendamento della Costituzione statunitense da parte di tre quarti degli Stati federali, circa 4 milioni di schiavi erano stati formalmente liberati. Ma il passaggio dalla ”schiavitù di proprietà” alla ”schiavitù salariata” era stato quasi solo formale non bastavano: certo 40 acri e un mulo*, questo il ” risarcimento” assegnato a ogni schiavo liberato, a determinare la sostanziale emancipazione degli afroamericani.
(Williams, pp.38-39)
A diciassette anni, nel corso del periodo più intenso della cosiddetta Grande Migrazione – o black migration, […] Williams si spostò a Detroit. A Detroit Williams iniziò a lavorare nelle fabbriche automobilistiche convertite in vera e propria industria bellica a causa della partecipazione degli Stati Uniti alla Seconda Guerra Mondiale. Al bisogno di forza lavoro si
rispose con il reclutamento di mano d’opera tra la popolazione del Sud, sia quella nera che quella bianca povera, […] Inoltre, l’industria si orientò sempre di più verso l’economia di guerra in
cui regnavano salari bassi, giornate di lavoro senza limite orario e carenza di alloggi; queste miserabili condizioni di vita, intrecciate al generale sentimento razzista, fecero
esplodere le tensioni sociali.
(Williams, pp.40-41)
Per Williams era ormai chiaro che stava vivendo in uno stato di violenza atmosferica, che permeava ogni relazione, ogni sfera della vita, e in uno stato di guerra civile permanente, tipico della colonia. La sua comunità, come teorizzato da molti in quegli anni, tra cui MalcolmX e W.E.B. Du Bois, costituiva una sorta di ”colonia interna” . Uno spazio nel quale il poliziotto del Sud aveva assunto il ruolo di un vero e proprio soldato in un territorio occupato, la comunità nera segregata, in cui vigeva la legge marziale: il diritto di vita o di morte, l’esercizio indiscriminato
della violenza e il puro arbitrio.
Insomma, l’abolizione formale della schiavitù non aveva segnato la fine dell’oppressione, dell’umiliazione, della discriminazione razziale. Bisognava organizzarsi perché tutto questo avesse fine.
(Williams, pp.43-44)
Non rimanere ”al proprio posto” , uscire dalla ”riserva” , dalla colonia interna, anzi smantellarla del tutto: questa convinzione non si articolava soltanto nei discorsi privati tra Robert e Mabel, divenne una necessità politica da esternare pubblicamente, fu determinante per la costruzione di un movimento politico e sociale in un contesto tutt’altro che favorevole alle loro idee.
(Williams, p.45)