Scritti dal carcere II
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Il mio nome è Abdullah, che in arabo significa “servitore di dio”. Anche se non mi riuscì mai di accettarmi come vero servitore di dio, fui sempre fermamente convinto del fatto che doveva essere una virtù rispettare se stessi e difendere l’uomo libero, per quanto questi fosse messo in disparte dalle stesse forze divine. Rinacqui, ancor più forte. Contrariamente alla mia prima nascita da mia madre, della quale non avevo molta considerazione, e dei tentativi di rinascita della modernità̀, alla cui onestà non ho mai creduto, dopo così tante sconfitte presi la mia terza nascita molto sul serio e ne trassi un gran diletto. Non sentivo alcun bisogno dell’amicizia dei vivi. Iniziai a trovare tutte le mie gioie nelle leggende e dovetti constatare che ciò̀ che il cospiratore Zeus aveva fatto a Prometeo ed Ettore rassomigliava a ciò che mi hanno fatto ad Atene i suoi discendenti attuali.
Nella mia più̀ profonda intimità̀ capivo ora perché i sacerdoti sumerici avevano condotto la dea dell’amore Ištar prima nel tempio e poi nel palazzo dai re-dei, per sotterrarla viva. Così iniziai per la prima volta a comprendere il senso profondo della patria nell’ambito della storia. Incominciai poco alla volta a dipanare migliaia di anni di contraddizioni. Ero sempre più consapevole del fatto che questa nuova risurrezione aveva un significato veramente ampio. Compresi che dovevo mandare un messaggio a quegli amici che continuavano a credere in me e che quindi lo meritavano. Un messaggio per far loro sapere che come sempre avevo la forza di oppormi a chi voleva mandarmi a morte; contro i cospiratori, chiunque essi siano. Ero in grado di poter indovinare i piani da loro escogitati, secondo i quali mi sarei dovuto trasformare in una bomba vera e propria da fare esplodere contro il nostro popolo. Distrussi i meccanismi d’innesco e la gettai in faccia a chi l’aveva preparata. Ero dalla parte dell’umanità; gli dei tirannici avevano perso un’altra volta.
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Un aspetto estremamente pericoloso della congiura consiste nella sbadataggine di coloro i quali si spacciano per amici o compagni e nella loro inaffidabilità nel restar fermi su determinate decisioni e promesse. Indipendentemente dalle loro intenzioni e dai loro sforzi sinceri, rappresentano un fattore di rischio sul quale i cospiratori costruiscono i loro piani, per poterli portare al successo. Il loro ruolo ha innumerevoli esempi storici – a partire da Bruto, che fece dire a Cesare “Ah, tu mio figlio Bruto”, passando per Giuda l’Iscariota, che condusse Gesù sulla croce, fino agli assassini dei seguaci del profeta Mohammed, che cambiarono per sempre il corso della storia. La sfortuna del popolo curdo sta nel fatto che casi simili nella sua storia non avvengono sporadicamente, ma fanno parte dei tratti fondamentali del suo sviluppo storico. Quelli su cui si fa affidamento in quanto amici, possono inaspettatamente voltare le spalle nel momento meno adatto. Chi occupa una posizione guida può condurre l’organizzazione nel precipizio – proprio nel momento in cui si crede di essere sulla strada giusta. Non ci si deve fidare neppure del proprio fratello o sorella, né del partner.
Non sempre le intenzioni sono riconoscibili. Persone con una personalità poco sviluppata in situazioni difficili perdono facilmente l’equilibrio e in un attimo la maledizione della storia messa in moto dagli uomini sposta la propria egemonia. Alla persona guida spetta il ruolo del “re sacrificato” della mitologia: nella preistoria, quando non esistevano ancora tiranni sfruttatori ed oppressori, la maledizione gettata su una società veniva annullata attraverso il sacrificio di una persona che impersonava il capo della comunità. Presso i curdi l’alternativa che si presenta al capo, è tra la libertà ed il rituale dell’assassinio del re, ammesso che il capo stesso non sia stato ucciso o sottomesso, o meglio che non sia caduto vittima della follia ed abbia mantenuto la propria dignità. Incredibilmente gli avvenimenti della mitologia preistorica si svolgono realmente tra i curdi. È per questo che all’inizio ho detto che nel caso dei curdi le leggende ed i miti appartengono alla realtà. È terribile appartenere ad un popolo simile. Tuttavia volersene sottrarre è un atto di viltà. Non sottrarsi significa assoggettarsi alla logica brutale della congiura e sottomettersi alle sue misure sfrenate. Più si oppone resistenza a tutto ciò e più si è disposti al sacrificio, più rapidamente si riuscirà a liberarsene.
Già da bambino sentivo questa opprimente struttura sociale e rimproveravo duramente mia madre, in quanto la persona di cui mi fidavo maggiormente: “Capisci in che dolore mi hai fatto nascere?”. La dimensione della vita che mi attendeva mi era allora già chiara. Ogni passo che volevo fare era accompagnato da dolori. Tuttavia non volevo tradire la vita. Proseguii instancabilmente la mia marcia lunga e solitaria contro il resto del mondo, superai il destino che mi era stato imposto e strappai agli dei le maschere che avevano sul viso. Sono consapevole di aver causato in tutto ciò grande dolore. Mi riferisco in particolare all’infinito dolore di quei magnifici eroi, uomini e donne, che si bruciarono vivi per me. Con il loro coraggio davanti agli occhi, trovai io stesso nuova forza e un rinnovato coraggio di vivere.